Giulio Obici: Antologica
Wavephotogallery
Via Trieste 32, Brescia
Dal 9 al 27 novembre 2013
La vita di Giulio Obici è attraversata da due grandi passioni: il giornalismo e la fotografia. Per oltre quarant’anni editorialista e inviato speciale, Obici ha analizzato il terrorismo, dalla strage di piazza Fontana al delitto Moro, ha seguito grandi eventi giudiziari, dal processo Montesi del 1957 a quello palermitano alla mafia degli anni ’80, ma ha saputo altresì raccontare, con le sue immagini fotografiche, la poesia nascosta nel grigiore della strada e la bellezza articolata nelle forme che compongono la natura e il paesaggio.
Oltre alla scrittura giornalistica, intesa come modalità indagatrice, pervasa dal rigore e dalla volontà di raccontare la storia e le vicende umane, Obici scopre nel tempo la valenza gnoseologica della fotografia, la quale diviene lettura trasversale della città, tappezzata da anonime scritte sui muri e da insegne pubblicitarie, e analisi visiva delle forme disseminate nel paesaggio naturale, colto nell’equilibrio costruttivo e nello studio della luce.
La mostra antologica bresciana, composta da oltre cento scatti in bianco e nero, scelti dall’archivio Obici, evidenzia, nella cadenza di temi svariati – dal diario pubblico metropolitano alle nature morte, fino al paesaggio filtrato da suggestioni provenienti dalla pittura -, la volontà del fotografo di analizzare la realtà con attenzione e di far emergere particolari apparentemente insignificanti o casuali, al fine di svelare cose non dette, di evocare la poesia dell’attimo fuggente, che rimanda a ricordi sopiti nella memoria e fa riemergere il senso segreto della realtà. Viene, così, a crearsi un alfabeto semiotico, in cui la fotografia registra e trattiene tracce che possono apparire marginali – come, per esempio, le ombre sui muri incrostati o la piccolissima finestra occlusa da pietre e incastonata tra altre pietre -, le quali si tramutano in elementi focali ed evocativi di una narrazione, scossa dalla forza sconvolgente del banale e del dettaglio.
Giulio Obici asseconda, dunque, l’armonia costruttiva della visione, per coglierne gli indizi – o meglio gli indici, direbbe Charles Peirce -, ossia quel segno del reale che fonda e veicola una corrispondenza di fatti e un insieme di sentimenti, che vanno al di là dell’evidenza e dell’apparenza visiva. La fotografia pare essere diventata l’orma del fotografo, che invita lo spettatore ad indugiare ancora con lo sguardo verso quella stessa realtà immortalata, a porre attenzione a quel piccolo particolare, perché qualsiasi segno del reale è anche la sua rappresentazione proposta da una cultura data, come l’ordine dei filari dei pioppi o la capiente cupola del duomo, che, rovesciata, si può trasformare in rete da pesca, sospesa sulle acque della laguna.
Ordine, misura ed equilibri di un paesaggio antropizzato, narrazioni e giochi visivi, che invitano a volgersi alla realtà come costruzione e composizione dai molteplici significati formali, perché il modo in cui noi elaboriamo l’immagine visiva – sembra dirci proprio il fotografo – è anche l’immagine mentale, che ognuno di noi ha di essa.
Giampietro Guiotto