Lo studio di Giulio Obici a Muslone di Gargnano.

L’archivio di Giulio Obici si compone di circa 13.500 scatti, realizzati tra il 1970 e il 2010 (la produzione precedente è stata distrutta da un’improvvisa acqua alta nello studio di Venezia) che sono stati riordinati e catalogati nel corso del 2014 dalla storica dell’arte Olivia Corsini con l’aiuto della compagna di vita di Obici, Marcella Andreoli, e dell’amico giornalista e appassionato archivista Pippo Iannaci. Il lavoro da compiere era impegnativo. Si trattava di fare ordine e di operare delle scelte di catalogazione e di lettura all’intero di un materiale conservato in modo abbastanza frammentario. Se infatti Obici era attento ad annotare sulla velina di ogni negativo soggetto, data e caratteristiche tecniche dello scatto, dello sviluppo e della stampa, l’ordinamento delle fotografie era affidato ad un criterio fondamentalmente cronologico, senza una divisione tematica chiara. Quello compiuto da Olivia Corsini è stato quindi un importante lavoro critico volto a costruire un catalogo ragionato del lavoro dell’autore e a evidenziare i principali percorsi di ricerca della sua produzione e gli elementi costitutivi della sua poetica.

Lo racconta la stessa Olivia Corsini nell’introduzione del catalogo (Edizioni Zoom, 2014): “Si sono create due grandi famiglie, denominate successivamente diari: un diario privato, intimo, familiare che si contrappone con prepotenza a un diario pubblico, sempre discreto ma forse più concettuale, più fotograficamente catalogabile. Sebbene il secondo, il diario pubblico fosse il nucleo che Giulio ci ha diligentemente indicato tra prove di stampa e scelte finali dei cataloghi passati, l’esclusione del primo avrebbe comportato un difetto nella descrizione di Giulio come uomo-fotografo, e l’occhio con cui un fotografo vede la quotidianità è fondamentale quanto la parte più istituzionalizzata per rendere un catalogo generale veramente esaustivo”.

La camera oscura di Giulio Obici a Muslone di Gargnano.

Queste due categorie fondamentali sono state poi articolate in altre sezioni per restituire i diversi temi cari al fotografo, ricorrenti nel suo lavoro nel corso degli anni. Il diario pubblico è stato quindi suddiviso in quattro narrazioni: Cronache metropolitane, Vuoto della politica, Grida e Muri. A quello privato sono invece andate: Visioni, Angolazioni, Nature morte e Folletti. “Il primo diario raccoglie così momenti di quotidianità cittadina, in cui l’ottica della giustapposizione ironica dell’arredo urbano ne ridisegna l’immaginario e in cui le scritte spray sui muri diventano diario collettivo di amori stereotipati e insoddisfazioni politiche, rispondendo inoltre a quella piccola ossessione del fotografo di rivolgere perpendicolarmente al muro l’obbiettivo della macchina, almeno una volta in ogni rullino. Ma anche una città in cui oggettivare metaforicamente il vuoto politico nei tabelloni elettorali inutilizzati, arrugginiti, segnati. Il diario privato è invece composto da narrazioni più intime, che scovano tracce di vita anche dove vita non c’è, rendendo umani oggetti o comparse che diventano i folletti di un mondo riscoperto dal fanciullino, che inquadrano la natura come fosse una visione irreale e al contrario intravedono nature morte in oggetti artificiali, e che ricalcano le vedute attraverso prospettive deformanti o evanescenti”.

“Se la divisione in categorie serve a evidenziare le diramazioni narrative del fotografo – ci avverte Olivia Corsini – è importante però non pensarli come comparti stagni. Sarebbe un errore non considerare anche tutti gli scatti come frammenti di un’unica grande narrazione che altro non è che la poetica del fotografo. Una poetica che funziona come minimo comune denominatore di ogni scatto e che è riassumibile nel concetto di epifania, una piccola rivelazione che scosta il velo della lente quotidiana che uniforma la visione e permette di vedere ciò che ci circonda come se fosse la prima volta che lo vediamo”.

Dal 2018 la gestione dell’archivio di Giulio Obici è affidata al Craf (Centro di ricerca e archiviazione della fotografia) di Spilimbergo, che da oltre vent’anni svolge una preziosa attività di studio e di ricerca sul patrimonio fotografico del Nord-Est d’Italia in particolare, e sulla fotografia italiana, attraverso l’organizzazione di mostre e conferenze ma soprattutto attraverso la conservazione e valorizzazione di importanti fondi fotografici come quelli dei fotografi del Gruppo Friuliano per una Nuova Fotografia, di Luigi Crocenzi, Carlo Leidi e Toni Nicolini.