Manifestazioni tangibili del capitalismo o espressioni del disagio sociale, tentativi di innovazione o ritorni al déjà vu, pietre, tombini, dislivelli, anfratti archeologici, marciapiedi, rimasugli di costruzioni, incroci di stili e non stili, gradini, passaggi, buche, inciampi…
Giulio Obici è il vero grande “flâneur” dei nostri giorni che, evitando qualsiasi oleografia o intento celebrativo, perlustra la città curioso degli intrighi visivi suggeriti da composizioni fotografiche che raccolgono di tutto: i cartelloni pubblicitari, le miserie, le vetrine assurde che si accoppiano con le reliquie urbane… l’architettura, la gente, la strada, le mode. Piedi saldi in terra per investigare e raccontare la città, così spesso identificata in luoghi-non luoghi privi di attrattive, modificati pian piano dagli usi, dagli interventi urbanistici, dalle réclame, dalla commercializzazione di tutto. (Grazia Neri)
Giulio Obici, con quel distacco che è sempre alle soglie dell’arte, ci dà un panorama della modernità del tutto privo di giudizio. Gli è sufficiente fotografare, cogliere nei folli scenari tra le nostre case e le nostre consuetudine, gli aspetti più significativi del nostro stare sospesi nel baratro. (Franco Loi)